Scrivere con la macchina: prologo



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Questo è un prologo, prima del prologo ci tengo a sottolineare che quanto scritto in questo post e anche nei prossimi (sono tre in tutto) è frutto di una ricerca fatta con un punto di vista, il mio, che ci teneva a dimostrare a me stesso come la scrittura sia un atto infinito. Non è mio interesse enunciare teoremi che ne segnino la storia, ma soltanto soddisfare un quesito che mi faccio continuamente quando affronto il mio lavoro: come si può esprimere la grandiosità di un atto coì nobile? La risposta, forse arriverà alla fine. Anche se temo sarà soltanto un’intuizione momentanea.

Introduzione
Come disciplina, il type design è sia nuova che antichissima. Nasce poco dopo la necessità dell’uomo di parlare, di scrivere, di comunicare. Si apparenta con la personalizzazione della grafìa di ogni persona, con le velleità di vicinanza con il divino dei potenti che si succedono nei secoli e millenni, si trasforma per colpa delle molteplici contaminazioni.
Con la stabilizzazione della forma della lettera [quella occidentale] avvenuta nel secondo millennio è venuto meno il bisogno di ridisegnare e pensare una forma nuova – non che non si provi, comunque – ed è incrementata l’applicazione e declinazione della parola nelle diverse tecnologie della comunicazione.
Il type design, a partire dal disegno a mano su carta, il trasferimento su matrici di leghe metalliche adatte alla stampa tipografica [Linotype e Monotype ad esempio] fino al digitale mantiene la metafora primigenia del disegno a mano.
Dai primi giorni dell’era digitale si sono succedute diverse applicazioni che hanno cavalcato le principali tecnologie di riproduzione delle immagini, il bitmap ed il vettoriale.
Oggi le logiche dei programmi di type design come Fontlab sono simili a tutti i programmi di manipolazione vettoriale come illustrator o Freehand. Interessante sono la storia e lo sviluppo delle tecnologie che permettono ai caratteri tipografici digitali di interagire con i programmi di editing o visual design.
Il futuro del type design non può prescindere dalla comunicazione, dai rapporti umani, dalle tecnologie di supporto ad essa, alla loro diffusione tra le persone e l’evoluzione tecnologica.
Uno degli aspetti più evidenti nella quotidianità, nell’espressione artistica e intellettuale è la ricerca di forme di scrittura più lontane dalle più consone e tradizionali scritture rese disponibili dal desktop publishing. Quindi la scrittura cerca di evitare ogni riferimento e derivazione dalle schematizzazioni della scrittura digitale. Sarà quindi importante riconoscere l’importanza delle scritture derivate dalle nuove ricerche espressive e capirne le essenze e le necessità che spinge ad averne bisogno.

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La disciplina
Il type design nasce con la replicazione delle forme di lettere come codici collettivamente conosciuti. Dal punto di vista del design grafico la disciplina si divide tra il disegno del carattere e l’implementazione per l’utilizzo generale. Il primo ambito risente in tutto il corso della sua storia della sua disciplina “madre” che è la calligrafia. Nel tempo, dal pennino al pennello, è stato un succedersi di strumenti con i quali tracciare i segni su superfici generalmente di carta o pergamena. La stampa tipografica, derivata da quella silografica, su legno, ha generalmente “replicato” le forme delle lettere scritte, soltanto che cambiando lo strumento per l’incisione sul materiale poteva cambiare la precisione di certe forme, visto che esso, il bulino, non si poteva, ovviamente usare come il pennino da scrittura. La nascita della stampa ha utilizzato tecniche da orafi per la “costruzione” dei caratteri da stampa. La forma della lettera era comunque una derivazione della scrittura alla quale venivano aggiunte migliorìe determinate dalle limitazioni delle tecniche meccaniche. Nel 19mo secolo ci fu l’applicazione del pantografo per rendere più veloce e semplice la replicazione e l’ingrandimento dei caratteri da incidere e fondere. “L’introduzione del pantografo segna una vera “svolta” nella produzione dei caratteri, sia di legno sia di piombo: tale strumento, infatti, permette di eseguire disegni o incisioni con dimensioni ingrandite o ridotte rispetto a quelle di disegni originali.” Il passaggio alle tecniche di stampa derivate dalla litografia e dalla fotografia, come l’offset ha permesso di disegnare più liberamente e fotografare le più svariate forme. In ogni caso, questa libertà di evoluzione tecnica ha permesso la nascita di filoni culturali che svilupparono le nuove tecniche. Dopo, quindi la scoperta della nuova possibilità, prima, ovviamente era necessario utilizzare le tecniche conosciute come la pittura e il disegno.
Con l’avvento del desktop publishing sono aumentate le tecnologie che permettono di scrivere e si è concentrata la ricerca sul rapporto scrittura digitale / programma di scrittura / stampa. Il principale problema che gli ingegneri si sono posti è sui comportamenti delle lettere in scrittura ed anche il type design è stato adattato a questo passaggio. Ovviamente le metafore che stanno dietro a programmi come Fontographer prima e FontLab poi si rifanno completamente al processo di disegno tradizionale dei caratteri, utilizzando gli ormai noti codici di disegno vettoriale o manipolando e adattando il disegno bitmap. Dopodiché la scrittura ha bisogno di essere tradotta e codificata in maniera da essere compatibile con ogni mezzo di scrittura digitale. “Il testo scritto non fa eccezione: ogni segno della scrittura viene codificato, cioè trasformato in un numero convenzionale”. I caratteri così disposti divengono leggibili e utilizzabili da tutti e gli avanzamenti tecnologici hanno fatto si che questa compatibilità aumentasse.
Una font digitale, per esempio un font in standard TrueType, era finora un tipo particolare di archivio di dati contenente informazioni riguardo a un certo stile di caratteri tipografici, come la forma e le misure di ogni glifo. […] Ma a causa della complessità del modello carattere / glifo di Unicode, tutto questo non basta più: una font deve avere un componente software attivo, simile ad un programma e deve provvedere autonomamente a effettuare tutte le trasformazioni necessarie a realizzare la sua particolare concezione del modello carattere /glifo”.

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Anatomia del carattere da stampa ed analisi della forma di una lettera attraverso il rapporto assiale tra tratti spessi e sottili per stabilire i canoni di riconoscimento ottico.

Dal punto di vista tecnologico, quindi sono state evolute molte possibilità per far funzionare la scrittura in digitale ed altre tecnologie verranno spiegate nella seconda parte. Ma dal punto di vista del disegno del carattere siamo ancora ad un tipo di rapporto uomo / macchina tipico di ogni altra forma di disegno su computer.
Da questo punto di vista è interessante segnalare il procedimento o.c.r (optical character recognition), sistema in grado di riconoscere le forme delle lettere seguendo lo scheletro che gli è dietro. “I sistemi OCR per funzionare correttamente richiedono una fase di “addestramento”. Durante questa fase al sistema vengono forniti degli esempi di immagini col corrispondente testo in formato ASCII o simile in modo che gli algoritmi si possano calibrare sul testo che usualmente andranno ad analizzare. Questo addestramento è fondamentale se si considera che gli elementi che analizzano il testo non sono altro che delle reti neurali e come tali richiedono un addestramento per funzionare. Gli ultimi software di OCR utilizzano algoritmi in grado di riconoscere i contorni e in grado di ricostruire oltre al testo anche la formattazione della pagina”.
Questa tecnologia hanno velocizzato il trasferimento dei testi ma hanno anche dettato uno standard per la progettazione dei caratteri tipografici (n.b. essi mantengono la dicitura “tipografici” nonostante essi non vengano progettati direttamente per la tecnica per la quale sono destinati).
Assieme allo sviluppo tecnologico è stato necessario un ridimenzionamento ed una rivisitazione culturale che permettesse di classificare le forme delle lettere in standard meno “storicisti” e più formali per poterne ricavare modelli da sviluppare tecnologicamente.
Principale artefice di questo passaggio, oserei dire epocale, fu Gerrit Noordzij che riconobbe già dai primi anni 70 un modello “binario”. che assumesse che “le forme scritte a mano sottostessero a quelle tipografiche”. Egli suddivide le forme in proprietà di sviluppo formale derivato dalla loro essenza stessa, dal tratto e dalla loro struttura. “In questo modello, le lettere mostrano le proprietà di traslazione (come se tracciate con un pennino a punta larga) oppure di espansione (come se tracciate con un pennino flessibile), e sono correnti (la penna resta appoggiata alla superficie di scrittura) oppure interrotte (la penna viene sollevata tra i tratti, e traccia soltanto tratti verso il basso)”.
Nel 1982-83 viene messo a punto lo strumento che per primo permette il regolare utilizzo dei caratteri sui personal computer che da quegli anni in poi avrebbero cambiato l’essenza di quasi ogni professione, compresa l’impaginazione e, quindi, l’utilizzo dei caratteri, nasce il PostScript. Esso permette di “la generazione istantanea di caratteri rasterizzati di alta qualità e per bassa riproduzione”. Da quel momento in poi il carattere si slega dal singolo programma o tecnologia di impaginazione o scrittura e diventa «super-partes». Non solo nella fin lì breve storia dell’informatica. Da quel momento qualsiasi dispositivo di output poteva riconoscere e adottare uno standard generale di fonte.
Altro grande ambito di sviluppo tecnologico della scrittura contemporanea è nell’architettura sia per l’infografica interna, già in uso da parecchi decenni che la nuova “decorazione” esterna, una sorta di riedizione “neoclassica” del Pantheon in cui la scrittura ritorna preminente sulla “pelle” dell’edificio.

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