Work the angles!



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Parlando con amici ho sentito più volte che, nel campo del visivo, quella delle strutture angolari è una moda. Sicuramente quelli che non sanno da dove deriva tutto questo, che non ne cercano le radici (e sapendo che vende e che può far scena) copiano qua e la e si nascondono dietro le intuizioni di altri. (E fanno bene, probabilmente, visto il livello di consapevolezza e gli sforzi per diffondere la conoscenza al grande pubblico che vengono fatti in Italia. Basterebbe ricordare le scene da varietà attorno al marchio it… Plis, visit itali…)

 

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Ecco qui una brevissima e non esaustiva carrellata di immagini e paragoni tra quello che è oggi uno stile molto in voga ed esempi che probabilmente ci possono aiutare a pensare oppure, che forse è meglio ci possono far domandare per quale motivo non andiamo a cercare le radici, gli esempi, a cercarne i motivi per poter aderire, oppure per poter avere gli argomenti per criticare. Per lo meno si può andare da un cliente e dirgli “Salve, sono undesigner, ho delle cose da insegnarti”. E sono convinto che, perseverando, quantomeno si possa raggiungere una posizione di rispetto nel variegato mondo dei liberi professionisti o dei professionisti e basta.

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Sono personalmente molto attirato dalle manifestazioni grafiche dal periodo anni 20-40 dello scorso secolo, quando alcune persone si sono sentite «libere» di seguire la propria vocazione professionale e farne una piattaforma per applicare le proprie conoscenze, sperimentando sia dal punto di vista tecnico e tecnologico che dal punto di vista concettuale e formale, visivo per dirla semplice.

Oggi è infatti impossibile trovare un filone, una scuola, una «maniera» che accorpi le diverse anime che poi la applichino con le diverse sensibilità. Se pensiamo che già negli anni ‘30 c’erano associazioni, professionisti, pubblicazioni e studi di respiro internazionale che imponevano una cultura del progetto che sfociò nell’esperienza della Olivetti e dell’«isiota» Giovanni Pintori, assieme a tanti altre icone del tempo tra i quali l’altro «isiota» Costantino Nivola o Herbert Bayer. Solo oggi, mettendo assieme queste immagini mi sembra di poter dire che Pintori fosse un «concretista». Forse no, comunque l’ho messo assieme ad immagini sperando che centrassero il meno possibile fra loro, ho preso Chris Johanson, un artista che proviene dalla streetart, da un sito di una galleria che lo rappresenta, ho tratto questo “Chris Johanson is well known for his often political, always social paintings and installations where he comments on the state of the world from where he is standing. Johanson’s honest depictions of business men, bums, hippies, drunkards and the general urban public coupled with his own colorful recurring abstract imagery are permeated with a poignant mix of internal turmoil, societal struggles and the happiness and good times that put everything into perspective.” È bello vedere questi ricorsi tra stili artistici molto, se non completamente diversi fra loro, vorrà forse dire che c’è un nuovo modo di interpretare queste forme, o meglio sono forme che vanno oltre ad un etichetta temporale e modaiola e si adattano come standard a diverse interpretazioni.

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I nostri maestri, durante i nostri corsi universitari ci hanno sempre insegnato le vite dei grandi personaggi che hanno svezzato il design nel xx secolo, hanno cercato di trasferirci le esperienze che loro avevano appreso a loro volta spesso da esperienze fantastiche, vissute in prima persona oppure avendo avuto loro stessi insegnanti che hanno trasmesso tecniche e procedimenti ed un sapere che li ha arricchiti notevolmente. Quindi si possono citare tutti i grandi sperimentatori che hanno percorso la storia della creatività, da Leonardo fino aMunari, da Gropius a Max Bill a Moholy-Nagy, Klee; dalle esperienze del Bauhaus ad Ulm,Chicago eccetera.

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Work the angles è un urlo di determinazione, un no secco alla convinzione che la creatività è schiava del gusto e della moda, oppure di strane e «peccaminose» regole di mercato. Vuole essere la convinzione nella ricerca, nella capacità delle nuove generazioni di esprimersi perché semplicemente lo vogliono, perché vogliono sentirsi fiere delle idee che portano con sé, nei loro studi, nella ricerca spasmodica dell’affermazione delle loro potenzialità. Ed è così che questo stile non deve essere strumentalizzato come il veicolo più veloce per essere «cool», ma uno stimolo per comprenderne i codici che ne sono alla base, per manipolarli e per crearne di nuovi, questo è il significato che diamo a design.

Dal design di prodotto, all’arte, fino al fashion design, all’architettura, siamo di fronte - forse, forse è solo un bluff - ad una reazione alla destrutturazione a tutti i costi, forse ne è solo una propaggine oppure è la possibilità di un nuovo corso, di un nuovo standard, come fu l’international style e il modernismo in genere, il concretismo, le avanguardie. Sogni…

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